Il “Bio sensor” (o “Senso puppy”: sono quasi sinonimi. Il Senso Puppy è il programma portato in Italia da Carlo Colafranceschi, che ha apportato qualche modifica-miglioria a quello originale) è un programma di stimolazione sensoriale neonatale basato sul presupposto che minime forme di stress subite nel primo periodo di vita sotto forma di stimoli termici, tattili e di movimento riescano a stimolare il sistema endocrino, le ghiandole surrenali e la ghiandola pituitaria (ipofisi).
Studi effettuati da diversi ricercatori americani (e sviluppati dall’esercito, probabilmente allo scopo tutt’altro che cinofilo di ottenere efficaci “war dogs”) hanno evidenziato che i soggetti sottoposti a leggeri stress risultavano, da adulti, più resistenti nei confronti del freddo e di alcune malattie (malattie infettive, tumori); inoltre maturavano più velocemente e davano risultati migliori nei test di risoluzione dei problemi.
In due parole, erano più robusti e più intelligenti.
L’esercito statunitense ha quindi sviluppato, nel suo programma di allevamento, una serie di “esercizi” che devono iniziare al terzo giorno di vita e terminano intorno al sedicesimo giorno.
A questo programma di stimolazione iniziale dovrebbe sempre seguire un programma di “arricchimento ambientale” che consista nel presentare al cucciolo (sempre precocemente) una serie di esperienze e di situazioni interessanti e sempre nuove, dandogli l’opportunità di interagire liberamente con ognuna di esse. L’arricchimento ambientale non ha “date” prestabilite: prima inizia e meglio è (sempre nei limiti in cui la nuova esperienza risulta interessante e stimolante e MAI stressante), dopodiché deve continuare per tutta la vita del cane.
Le esperienze ambientali vanno dai rumori (esistono appositi CD da far ascoltare a volume basso e poi via via più alto, ottenendo così un effetto di desensibilizzazione a tuoni, spari, botti e ad altri rumori che spesso intimoriscono i cani) alle sensazioni tattili (oggetti diversi e superfici diverse su cui i cuccioli imparino a camminare) e alle esperienze provocate dal dover superare piccoli ostacoli, attivando così meccanismi mentali che potranno essere preziosi nella vita del cane adulto.Ma davvero la stimolazione sensoriale può produrre cani più intelligenti e addirittura più resistenti alle malattie?
I commenti entusiastici dei (pochi, per ora) allevatori che hanno seguito un programma “Senso puppy” hanno scatenato due tipi di reazioni polemiche, o quantomeno scettiche.
La prima reazione è quella del “ma va la’, non ci credo!”.
E l’obiezione più classica è la seguente: “E’ sicuramente provato che i cuccioli sottoposti a deprivazione sensoriale – pochi stimoli, ambiente asettico ecc., tipico per esempio degli animali da laboratorio – risultano meno intelligenti, reattivi e con minori capacità di adattamento dei cuccioli vissuti in un ambiente ricco di stimoli. Ma chi ci dice che un cucciolo sottoposto al “Senso puppy” sia effettivamente avvantaggiato rispetto a un cucciolo che già vive in una situazione ottimale, ovvero nasce da genitori ben selezionati, cresce in un ambiente sereno e stimolante, viene correttamente socializzato e così via?”
Be’, ce lo dicono innanzitutto i test scientifici di William Greenough (Università dell’Illinois), che è andato oltre i “classici” Rosenzweig, Krech e Bennet.
Mentre questi ultimi, nel corso di oltre trent’anni di sperimentazioni, avevano semplicemente evidenziato la minore capacità di adattamento e di soluzione dei problemi cuccioli sottostimolati (che hanno addirittura il cervello molto più piccolo dei loro coetanei correttamente stimolati), Greenough ha studiato proprio le differenze tra cuccioli normalmente stimolati e cuccioli stimolati precocemente.
Greenough (citato anche da Stanley Coren nel suo “L’intelligenza dei cani”) ha dimostrato che la stimolazione ambientale, da sola, è in grado di modificare la struttura cerebrale.La corteccia cerebrale dei soggetti stimolati risulta più spessa, esiste una maggiore concentrazione di enzimi cerebrali (quelli legati alla trasmissione di informazioni da e verso il cervello) e soprattutto aumenta il numero delle cellule nervose e delle sinapsi cerebrali, ovvero dei collegamenti nervosi che permettono la trasmissione di informazioni.
I cani dotati di un maggior numero di cellule e di collegamenti cerebrali appaiono in grado (e qui cito proprio Coren) di “ottenere prestazioni migliori in un’ampia gamma di funzioni cerebrali: in poche parole, appaiono più intelligenti”.
I risultati di Greenough, e di chi l’ha seguito su questa strada fino ad arrivare allo studio di programmi come il “Senso puppy”, sono difficilmente contestabili in quanto si riferiscono a cucciolate con lo stesso patrimonio genetico, metà delle quali è stata sottoposta al programma mentre l’altra metà viveva in modo “normale”, non in ambienti isolati e asettici ma con gli stimoli a cui vengono normalmente sottoposti tutti i cuccioli ben allevati e ben gestiti.
Anche gli allevatori italiani che hanno sperimentato il “Biosensor” sono tutti concordi nell’affermare che c’è stata una differenza eclatante tra queste cucciolate e quelle precedenti, che non erano certo allevate in condizioni di deprivazione sensoriale!
Personalmente trovo che gli studi scientifici, uniti alle esperienze dirette di persone che conosco e di cui mi fido, siano più che sufficienti a farmi considerare il “Senso puppy” come un’importante tappa sul cammino dell’allevamento di qualità. Ma a questa prima obiezione lascerò che a rispondere sia Carlo Colafranceschi, che ha “importato” in Italia il Bio Sensor (chiamandolo appunto “Senso puppy”) e che potrà rispondere in modo più accurato
Personalmente, invece, preferisco occuparmi di un altro atteggiamento critico che proprio non riesco a comprendere.
Infatti ho trovato persone che hanno detto: “Perché mai dovremmo volere cuccioli più intelligenti?”
Ripeto e sottolineo: non riesco a capire questa perplessità, specie quando viene da cinofili…e addirittura da educatori e addestratori!
L’unica spiegazione sincera – che in quanto tale apprezzo – l’ho trovata su un forum, laddove una privata si domandava: “Ma se facciamo cani troppo intelligenti, poi non avremo maggiori difficoltà a farci obbedire?”
Sullo stesso forum, però, un’educatrice professionista poneva praticamente la stessa domanda, anche se in modo più ambiguo, scrivendo: “I lupi cechi, e i lupi ancora di più, eccellono nel problem solving, ma sono meno addestrabili di un buon vecchio pastore tedesco o di un border o di un malinois o di un barboncino qualsiasi. Se devo scegliere un cane per viverci o per lavorarci, il problem solving è l’ultimo dei miei pensieri. Un cane che sa aprire le porte, i cassetti, trovare ogni via di fuga, che me ne faccio?”
Sono rimasta letteralmente basita di fronte a questa obiezione; tanto che non ho neppure trovato la forza di rispondere. Lo faccio adesso, indirettamente, urlacchiando: “Ma come, “che me ne faccio?” Comunico meglio con lui, ottengo da lui una vera e propria collaborazione, una complicità, una partnership, quello che per me è l’unico, vero rapporto tra uomo e cane!”.
Ma non solo: ottengo cani che mi permettano di insegnare loro in minor tempo, e con minor scarto di soggetti, a fare proprio cose come aprire porte e cassetti (ma avete presente che cane da assistenza potrebbe essere?). Ottengo cani che possano arrivare da soli alla soluzione di un problema in cui magari non posso metter becco, perché sono lontana (pensate ai cani da pastore o a quelli da caccia, ma anche a quelli da
slitta…insomma, a tutti i cani che lavorano senza guinzaglio e senza contatto diretto con il conduttore).
Penso a Mwa, la siberian husky di una cara amica, che anni fa vinse un “premio fedeltà” perché – in perfetto stile “Lassie” – era corsa a casa ad avvisare la famiglia, abbaiando e strattonando calzoni, che il suo padrone era volato in un crepaccio. Se Mwa non avesse avuto questa abilità nel problem solving, oggi quell’uomo potrebbe non esserci più.
Ultimo dei problemi? Sì, può darsi…se ci interessa solo avere un cane “a distanza di guinzaglio” (o “legato” dalla presenza del bocconcino o del giochino) che esegua esercizietti a macchinetta.
Ma se vogliamo un compagno, un amico, un vero partner…allora non riesco a concepire che lo si voglia più stupido possibile.
Dire che il cane “più è scemo e più è comodo da gestire” (perché questo è il concetto, se non erro…) equivale a dire “teniamo il popolo nell’ignoranza, perché così farà quello che vogliamo noi”: la filosofia dei peggiori dittatori.
Ok, ok…i cani non sono persone, e proprio io che spingo sempre a non antropomorfizzare dovrei stare bene attenta a fare generalizzazioni di questo tipo.
Però, se è vero che non sono persone, è anche vero che i cani sono esseri senzienti: e laddove c’è un cervello funzionante, non riesco a vedere nessun lato negativo nel potenziarne le possibilità.
L’unico potrebbe essere proprio una diminuizione della docilità…ma l’esperienza mi insegna che i cani non sono più docili solo quando sono più scemi: lo sono anche quando si fidano del conduttore, quando lo stimano, quando vedono in lui una “figura guida” insostituibile.
Certo, se si è incapaci di farsi stimare (come può accadere al neofita che non ha grande dimestichezza con la mente canina), il cane “scemo” è più comodo. Anche il cane lento è più comodo in agility, quando si è neofiti…ma quando si diventa bravi si cercano soggetti più performanti, perché non si può vivere tutta la vita all’insegna della mediocrità.
Senza contare che, stando a chi l’ha già sperimentato, il “Biosensor” porta anche a una maggiore sicurezza in se stessi (che è strettamente legata alla consapevolezza di sapersela cavare in ogni situazione), e quindi a cani più sereni e felici.
Obiettivo che, a mio avviso, dovrebbe essere sempre in vetta ai pensieri di chiunque voglia definirsi cinofilo.
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